© Piero Casentini; Fonte: https://storiamestre.it/2016/11/il-maestro-di-s/
QUI CERCAVA RIFUGIO
NELLA STORIA E NELLA POESIA
QUI NELL’ATTESA
INSEGNAVA LA DIGNITÀ DEL CITTADINO
ANTONIO GIURIOLO
CRESCIUTO E CADUTO PER LA RELIGIONE
DELLA LIBERTÀ
ARZIGNANO 12-2-1912 - LIZZANO DI BELVEDERE 12-12-1944
MEDAGLIA D’ORO
La lapide ad Antonio Giuriolo è murata sopra una porta interna della Biblioteca Civica Bertoliana di Vicenza, dove «in tempi servili» questo giovane – poi morto nella guerra di liberazione – «cercava rifugio» dalla grancassa littoria e «insegnava la dignità del cittadino». A dettare l’iscrizione da porre in questo luogo-simbolo dell’apostolato antifascista di Giuriolo fu uno dei suoi discepoli, il giovane storico dell'arte Licisco Magagnato. Nel libro Fiori italiani lo scrittore Luigi Meneghello, altro discepolo di Giuriolo, raccontò che, prima dello scoprimento della lapide, il color nero con cui era evidenziato il testo epigrafico fu rimosso dalle parole «religione della»: da questa censura, ordinata dal sindaco di Vicenza Luigi Faccio «in base all’argomento che di religione ce n’è una sola» (Meneghello, Fiori italiani, 1976, p. 167), conseguiva che Giuriolo era «caduto per la […] libertà» e non «per la religione della libertà». Dinanzi alle proteste dell’autore dell’epigrafe, Faccio spiegò che la formula crociana «religione della libertà» era «un’espressione giustissima, ma inopportuna» (Ibidem): il Sindaco, un socialista riformista, era timoroso di urtare la sensibilità degli alleati democristiani. Alla cerimonia per lo scoprimento della lapide, tenutasi il 26 settembre 1948, le parole, ancorché decolorate, restavano comunque leggibili perché erano incise nel marmo; «quasi quasi» – commentò Meneghello – «la lapide sembrava più bella così». In occasione dell’inaugurazione pronunciò il discorso di commemorazione Norberto Bobbio; ai ricordi personali legati agli «incontri padovani» nell’anno accademico 1941-1942 e ai «simposi rustici ad Arzignano» (Bobbio, Italia civile, 1986, p. 287), il filosofo torinese coniugò le riflessioni sugli interessi culturali di Giuriolo e le valutazioni sulle sue qualità morali; l’oratore, rivolgendosi ai convenuti, affermò che il magistero educativo giuriolano – in tempi in cui nella vita culturale ufficiale «la libera ricerca» aveva ceduto il posto «alla retorica» – fu esercitato extra moenia scholae, in luoghi «più appartati o meno scoperti», dove «non si stringevano rapporti di dotti (o indotti); qui […] la cultura diventava di nuovo vita, moralità, consapevolezza, responsabilità; diventava problematica da dommatica che era, aperta da chiusa, mobile da inerte. […] Toni Giuriolo» – proseguì Bobbio – «fu nobilissimo esempio di educatore senza cattedra; e siete voi stessi, giovani amici di lui, che lo avete così definito e consegnato alla storia della vostra vita più profonda come il maestro che vi ha educati non nell’aula, ma per le strade della vostra Vicenza, per i sentieri delle vostre campagne, camminando, discorrendo, discutendo, e vi ha insegnato […] più di tutti i maestri della scuola, anche di quella universitaria» (Ibidem, p. 285). In seguito l’iscrizione sulla lapide è stata ripristinata nella sua interezza; tuttavia la sovrabbondanza di colore nero sulle parole un tempo sverniciate segnala ancora quel tentativo di obliterazione ideologica.
Commemorato
Antonio Giuriolo nacque il 12 febbraio 1912 ad Arzignano, nel Vicentino. Compì gli studi secondari al Ginnasio-Liceo Antonio Pigafetta di Vicenza. Spirito anticonformista, per due volte in terza liceo non volle svolgere un tema sulla figura del Duce. Laureatosi in Lettere all’Università di Padova nel 1935, visse di lezioni private: il rifiuto di prendere la tessera del Partito Nazionale Fascista gli costò infatti l’esclusione dall’insegnamento pubblico. Nella sua formazione antifascista fu fondamentale l’affermazione crociana della religione della libertà contro ogni forma di autoritarismo. Assiduo frequentatore della Biblioteca Civica Bertoliana di Vicenza, vi tessé le prime maglie di una rete cospirativa; la voce di questo «educatore senza cattedra» – come lo definì Norberto Bobbio – era per i giovani che si raggrupparono attorno a lui un baluardo contro l’omologazione culturale fascista. Fortemente influenzato dal socialismo liberale di Carlo Rosselli, propugnò la costruzione di una società nuova, in cui le ineliminabili esigenze della libertà si conciliassero con quelle della giustizia sociale. Dopo l’8 settembre 1943 militò nella Resistenza; alla guida della Brigata Matteotti Montagna, Capitan Toni – questo era il suo nome partigiano – morì all’età di trentadue anni il 12 dicembre 1944 trafitto da una pallottola tedesca a Corona, fraz. di Lizzano in Belvedere, nell’Appennino bolognese.
- In Biblioteca Bertoliana una lapide ricorderà la figura e l’esempio di Giuriolo, «Giornale di Vicenza», a. IV, n. 228, 28 settembre 1948, p. 2
- R. Camurri, Il socialismo eretico di un intellettuale di frontiera, in Id. (a cura di), Pensare la libertà. I quaderni di Antonio Giuriolo, Venezia, Marsilio, 2016, pp. 1-187
Fonti
- In Biblioteca Bertoliana una lapide ricorderà la figura e l’esempio di Giuriolo, «Giornale di Vicenza», a. IV, n. 228, 28 settembre 1948, p. 2
- L. Meneghello, Fiori italiani, Milano, Rizzoli, 1976, pp. 166-167
- N. Bobbio, Italia civile. Ritratti e testimonianze, Firenze, Passigli, 1986, pp. 284-296
- R. Camurri, Tra mito e antimito: note sulla formazione di Antonio Giuriolo, in Id. (a cura di), Antonio Giuriolo e il «partito della democrazia», Sommacampagna (VR), Cierre, 2008, pp. 31-52 (in particolare le pp. 39-40 e 46-47)
- R. Camurri, Il socialismo eretico di un intellettuale di frontiera, in Id. (a cura di), Pensare la libertà. I quaderni di Antonio Giuriolo, Venezia, Marsilio, 2016, pp. 3-187 (in particolare le pp. 6-10)