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Abituati al “repressivismo” della maestra Ballena a suon di bacchettate, metodo avallato anche dalle famiglie, il quadro che si presenta all’autore appena arrivato a Lula è aspro e dolente. In questa realtà profondamente arcaica «l’autonomia, la libertà del bambino, la collaborazione tra maestro e scolaro, la discussione erano cose lontano quanto le stelle, abituati com’erano ad una scuola tipo macchina imbottitrice» (p. 156). Albino Bernardini si spenderà molto per i suoi allievi, per fronteggiare il radicamento di metodi centrati sulla dura punizione e, allo stesso tempo, anche per la comunità, organizzando riunioni nelle quali discutere di un modello di scuola attiva, dove non si impara ripetendo ciò che dice il maestro e ricorrendo alle botte. Nonostante le resistenze e il trasferimento imposto, a distanza di anni il maestro incontra di nuovo gli alunni ormai grandi, pieni di stima e di ricordi per l’anno trascorso insieme, sebbene avviliti, poiché l’unico sintomo di modernità rinvenibile nella loro vecchia scuola è il passaggio dalla bacchetta alla tavoletta.